BD RACCONTA

Il gruppo Harem
Prima chiamavamo il gruppo "Esplorare", e dopo, in modo
più scherzoso "Harem". Eravamo in quattro di solito. Questi
incontri sono nati con lo scopo di dare l'occasione di essere creativi
a chi non ne aveva mai avuto la possibilità prima. Lo
scopo non era di "fare arte", ma di scoprire e stimolare i
meccanismi della parte a-logica del cervello per imparare a fidarsi di
questi e inserirli nella quotidianità, cercando di fare
combaciare arte e vita.
Più importante di tutto era creare un'atmosfera
di simpatia e stima reciproca e di cordialità. Per i
partecipanti venire da me era come concedersi una parentesi, offrirsi
un paio d'ore nelle quali non sapevano quello che
dovevano fare e non se lo chiedevano neanche.
L'attività si svolgeva attorno al mio grande tavolo dello
studio in un atmosfera calma ed accogliente, anche questo era
importante.
Non s'imparava niente, perché questo non era lo
scopo. E se si imparava era in modo obliquo, tirando le somme
e ripensandoci dopo. E allora ci si rendeva conto che si
aveva imparato, sì.
Facevamo delle esperienze insieme. Loro accettavano senza problemi la
mia guida, i miei suggerimenti, prima di tutto perché avevo
più anni, più esperienza, perché si
fidavano di me, perché non facevo pesare su di loro nessuna
autorità. Anch'io, spesso chiedevo a loro di suggerire,
imparavo da loro e ci tenevo a farlo presente.
In
questi incontri nei quali si "facevano" delle cose, libri collettivi,
giochi con delle parole, anagrammi, cartoline d'auguri per Natale, dei
collages a tema, del brain storming per trovare un titolo o
altro, e delle storielle tipo "cadaverino squisito"
l'importante era sempre quello che c'era dietro, quello che
si diceva senza volere. Quello che si faceva in
realtà era solo la scusa. E spesso commentavamo
questi esiti tra una risata e un sorso di tè alla
cannella, con qualche biscotto e tanta "meraviglia".
La cosa principale che avevamo imparato insieme era il fatto che non
si possono prendere di petto certi argomenti piuttosto
astratti o di ordine spirituale, come per esempio parlare degli angeli,
ma che bisogna "girarci intorno", sempre in modo leggero e ludico. E'
come se l'inconscio sfuggisse dalla serietà e si lasciasse
in parte scoprire soltanto giocando. Il risultato era il più
delle volte sconvolgente.
Quando si faceva un "cadaverino
squisito", era incredibile come tutti i nostri problemi saltavano fuori
anche se avessimo intenzione di nasconderli. E questo era un'occasione
per fare delle salutari risate insieme.
Avevamo tra l'altro imparato a non prenderci troppo sul serio, anche se
qualche lavoro risultava "bello", perché non era questo
l'importante. Non esisteva nessuna rivalità tra noi
né alcun desiderio di imitare l'altro né di
prevaricare. Non necessariamente si lavorava in silenzio. L'inconscio
si manifesta il più delle volte nella casualità,
in compagnia anche rumorosa, nel libero parlare, nei lapsus, nei gesti
distratti - là dove il "lasciarsi andare" è
presente e l'intenzionalità" è assente.
Avevamo imparato a dare molto valore alla casualità. Ci
piaceva lavorare col materiale che ci veniva incontro piuttosto che
cercare quello che ci serviva. Così avevamo eliminato le
esitazioni inutili e anche il desiderio di "fare arte" a tutti costi.
Nonostante tutto, il risultato il più delle volte era
eccezionale.
In meno di due ore, a volte in un'ora soltanto, mettevamo in piedi con
un sistema di montaggio a catena, un libretto collettivo
compiuto, di sette o otto pagine, usando dei pennarelli,
del letraset, dei ritagli di giornali, vari
materiali per collage o altro - i materiali da
usare erano ogni volta da stabilire prima, come regole del gioco.
Questo libretto veniva munito di una copertina e di un titolo
dovutamente spiritoso scritto col computer e incollato. Poi
si tirava a sorte per sapere chi l'avrebbe portato a casa. Intanto
tutte ci eravamo divertite molto ed eravamo meravigliate dal
risultato.
E dopo la loro partenza, una volta rimasta sola, mi rendevo
conto che in realtà "questa" era la vera arte, quella di
stare bene insieme, di creare insieme in libertà e fiducia
reciproca, senza voler sopraffare l'altro ne dover dimostrare
chissà che cosa».